Rezension über:

Ivan Matijašić: Shaping the Canons of Ancient Greek Historiography. Imitation, Classicism, and Literary Criticism (= Beiträge zur Altertumskunde; Bd. 359), Berlin: de Gruyter 2018, XI + 293 S., ISBN 978-3-11-047512-8, EUR 99,95
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Rezension von:
Giovanni Parmeggiani
Dipartimento di Studi Umanistici, Università degli Studi di Trieste
Redaktionelle Betreuung:
Matthias Haake
Empfohlene Zitierweise:
Giovanni Parmeggiani: Rezension von: Ivan Matijašić: Shaping the Canons of Ancient Greek Historiography. Imitation, Classicism, and Literary Criticism, Berlin: de Gruyter 2018, in: sehepunkte 19 (2019), Nr. 6 [15.06.2019], URL: https://www.sehepunkte.de
/2019/06/32279.html


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Ivan Matijašić: Shaping the Canons of Ancient Greek Historiography

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In un prezioso contributo di quasi trent'anni fa, ma ancora attualissimo, Roberto Nicolai ha dimostrato come non si debba pensare al 'canone degli storici greci' (lista di storici eletti a modello di eccellenza stilistica) come se si trattasse di un solo elenco, bensì a una varietà di liste (a più 'canoni', volendo mantenere la fuorviante definizione di David Ruhnken per mera conformità all'uso) con specificità e, tra loro, punti di convergenza, elaborate in tempi e contesti diversi da figure diverse (retori, maestri di scuola e grammatici), formulate anche con un occhio di riguardo alla copertura diacronica della storia greca. [1] Ivan Matijašić, ripartendo dalle acute osservazioni di Nicolai, riaffronta ora la questione con genuino entusiasmo.

Nell'introduzione (1-6), comprensiva di un'utile illustrazione del piano generale dell'opera (3-6), l'Autore dichiara l'obiettivo del lavoro (1-3): identificare le ragioni preposte alla formazione dei 'canoni' storiografici e illustrarne lo sviluppo nel tempo, da una parte considerando i tre vettori della critica letteraria, del concetto di 'classicismo' e di quello di 'imitazione', e dall'altra analizzando le principali testimonianze nel rispettivo contesto storico-letterario.

Il capitolo I (7-38) funge per certi versi da seconda, più dettagliata prefazione. L'Autore illustra, innanzitutto, i meccanismi che presiedono alla 'canonizzazione' di un testo indipendentemente dal genere di riferimento; quindi esamina, in successione, le origini e i limiti della problematica definizione di 'canone', la testimonianza di Quintiliano sulla formazione delle più antiche selezioni letterarie in Alessandria (i.e., di Aristarco di Samotracia e di Aristofane di Bisanzio. Qui l'Autore coglie anche l'occasione per introdurre la lista degli storici data da Quintiliano in Inst. Or. 10.1.73-75) e, infine, il dibattito sulle origini e sulla natura dei 'canoni' della letteratura greca da Ruhnken in avanti, con un'interessante appendice sugli approcci moderni e contemporanei al tema della 'canonizzazione' dei testi letterari. Tutto questo serve da premessa a due risoluzioni metodologiche: in primo luogo, utilizzare la parola "canon" e l'aggettivo "canonical" per significare esclusivamente una "selection of the best authors in a given literary genre"; in secondo luogo, poiché "each list belongs to a specific age and a given geographical environment", valutare "each list, catalogue, comparison, and discussion of ancient Greek historians (...) within its historical and cultural context" (37).

Con il cap. II, su Cicerone (39-65), prende avvio l'analisi diacronica dei 'canoni' degli storici greci. Cicerone, il testimone più antico, serve preliminarmente ad agganciare Teofrasto e il suo giudizio sull'eccellenza stilistica di Erodoto e di Tucidide (Orat. 39 = fr. 697 Fortenbaugh, dal Peri historias? Segue un punto, sintetico e scettico, sulla ricca ma sfuggente trattatistica di età ellenistica peri historias). Dopo aver accertato che Cicerone potè effettivamente accedere a un gran numero di opere letterarie greche, l'Autore ne studia in particolare la lista degli storiografi greci in De Orat. 2.55-58, volendo dimostrare - grazie anche all'esame del modo in cui storici greci non compresi in tale lista risultano trattati in altri luoghi dell'opera ciceroniana - che essa costituisce la selezione di Cicerone degli storici per lui modello in relazione all'eccellenza stilistica. Spazio è anche dedicato all'anomalia di Senofonte, presente nella grande lista del De Oratore, ma incluso - come poi anche da Quintiliano - nel novero dei filosofi e, pertanto, escluso nella 'lista minore' degli storici canonici dell'Hortensius.

I capp. III e IV sono entrambi dedicati a Dionigi di Alicarnasso (66-102 e 103-122). Nel cap. III, l'Autore studia in particolare la selezione dionigiana degli storici nella lettera A Pompeo Gemino: qui si notano, accanto al serrato agone tra i più eminenti modelli, Erodoto e Tucidide, nel duplice campo del pragmatikos e del lektikos topos (con Erodoto quasi sempre vincitore), la classificazione di Senofonte e Filisto come 'imitatori' rispettivamente del modello erodoteo (più apprezzato) e del modello tucidideo (meno apprezzato), e l'elevazione isolata di Teopompo a 'storico ideale'. Spazio viene dedicato anche alle ragioni del silenzio su Eforo, ai caratteri della critica dionigiana a Tucidide e al modo in cui essa fu recepita in epoca posteriore. Nel cap. IV, invece, si studiano le ragioni delle scelte operate da Dionigi, con enfasi sul concetto di 'classicismo'. In primo luogo, abbracciando i valori politici e morali del classicismo attraverso l'elezione della prosa isocratea a modello, Dionigi definisce anche un tempo preciso per gli storici degni di imitazione e dunque 'canonizzabili', quello compreso tra la seconda metà del V sec. a.C. e la morte di Alessandro: il che spiegherebbe l'assenza, nel 'canone' dionigiano, di storici più antichi di Tucidide (con Erodoto unica eccezione) e successivi a Teopompo. In secondo luogo, il primato accordato da Dionigi a Erodoto su Tucidide ben si comprendebbe alla luce di scelte di contenuto conformi alla prospettiva classicistica da parte del primo (la guerra vittoriosa dei Greci contro Serse, sorta di apogeo dell'esperienza greca) e non conformi invece alla stessa prospettiva da parte del secondo (la guerra del Peloponneso, rappresentativa del declino del mondo greco). In terzo luogo, l'elogio per Teopompo ben si spiegherebbe con il tono moralistico della sua storiografia e, in generale, con quegli aspetti stilistico-contenutistici che ne farebbero, agli occhi di Dionigi, l'equivalente storiografico di Isocrate.

L'analisi diacronica dei 'canoni' degli storici greci si arresta al cap. V (123-160) per un esame del problema da altra prospettiva. L'Autore qui considera, nell'ordine, l'impatto del 'ciclo storico' nella definizione delle liste degli storici-modello, il rapporto tra la storiografia e Isocrate e quello tra la storiografia e la tradizione peripatetica. L'Autore procede quindi a un confronto tra i 'canoni' degli storici in Cicerone, Dionigi e Quintiliano, chiedendosi se i tre autori utilizzassero fonti preesistenti: certamente tali fonti esistevano - questa è la risposta - ma non sono identificabili, né sono, allo stato attuale delle conoscenze, riducibili a un unico autore. Il punto è ribadito in chiusura di capitolo, là dove l'esame dei riferimenti alla storiografia nelle fonti alessandrine (quale è ricavabile da documenti papiracei e, più tardi, dalla tradizione scoliastica) rivelerebbe la prevalente attenzione di commentatori e grammatici per Erodoto e Tucidide (un "hyper-canon"), ma non getterebbe comunque alcun lume sulla storia dei 'canoni' nel periodo compreso tra il IV e il I sec. a.C., storia che pertanto resterebbe avvolta nell'oscurità.

Gli ultimi due capitoli, il VI e il VII (rispettivamente 161-188 e 189-221), riprendono l'analisi diacronica dei 'canoni', con l'esame di testimonianze successive al I sec. a.C. Il cap. VI, in particolare, verte sugli autori di trattati retorici e sulla letteratura dei progymnasmata dal I al V sec. d.C. (tra gli altri, Ps.Longino, Demetrio autore del Sullo stile, Teone, Ermogene, Menandro retore). Qui si rilevano il consolidamento della tendenza, già registrata in epoca precedente, a privilegiare autori quali Erodoto, Tucidide e Senofonte - ora a discapito di storici che nell'epoca precedente erano invece ancora apprezzati (Filisto, Eforo, Teopompo) - e qualche apparente 'innovazione' (l'attenzione di Ps.Longino, Demetrio ed Ermogene per Ecateo). Il giudizio di Ermogene in Peri Ideon 2.12, 412 Rabe, in particolare, viene identificato come decisivo per gli sviluppi della vicenda generale dei 'canoni' storiografici. Nel cap. VII, infine, si offre uno sguardo d'insieme della letteratura successiva alla 'cesura' ermogeniana (inclusi i papiri); l'esame si spinge alle liste bizantine delle tabulae C ed M (qui con difesa della segnalazione di Ellanico, in passato sospettata erronea da Kröhnert e Nicolai).

Nelle conclusioni (222-232), l'Autore riassume i dati derivati dall'analisi nei precedenti capitoli, evidenziando come lo studio dei 'canoni' degli storici contribuisca a illuminare la vicenda della trasmissione delle opere storiografiche dell'antichità. Chiudono il lavoro una ricchissima bibliografia, un indice ragionato dei nomi e degli argomenti trattati, un breve indice dei lemmi greci, e un indice dei luoghi testuali citati (233-293).

Il libro, pur affrontando un tema non semplice e specialistico, è di agevole e piacevole lettura. Non mancano refusi (e.g., "Quintialians' Institutes", leggi "Quintilian's Institutes" a pagina 30; "Geschichtscherbung", leggi "Geschichtsschreibung" a pagina 44) e errori (e.g., "Theseus' bones", leggi "Orestes' bones" a pagina 174; l'Autore dichiara a pagina 153 che mancano riferimenti ad Eforo negli scolii aristofanei, ma vd. schol. Aristoph. Nub. 859 [Ephor. F 193]); essi però non compromettono la comprensione del testo, che resta ordinato e chiaro. Ricapitolazioni, nel corso dell'esposizione, non sono meno utili degli indici conclusivi, aiutando il lettore non specialista ad orientarsi in un impianto meno lineare della "diachronic historical analysis" dichiarata in apertura (1): in ogni caso, l'Autore è attento a motivare esplicitamente, di volta in volta, le sue scelte di trattazione.

La vasta documentazione viene raccolta ed esaminata con equilibrio, dando notizia sul contesto dei brani citati. Ovviamente non si può essere d'accordo su tutto - mi limiterò a qualche esempio: il profilo dionigiano di Teopompo è certamente più complesso di quanto prospettato alle pagine 120-122; [2] non sarei così categorico come l'Autore nell'asserire che il giudizio di Ermogene nel Peri Ideon "changed the course of the history of the canons of Greek historiography" (182); [3] la 'ragione tecnica' invocata, insieme allo stile, per spiegare l'esclusione di Eforo dal 'canone' di Dionigi, e cioè il fatto che la stesura di un'opera universale non poneva affatto il suo autore di fronte al problema di dover scegliere cosa raccontare, come organizzare il suo discorso, da dove iniziare e dove concludere l'esposizione (88), non è convincente: essa sembra soffrire del noto pregiudizio moderno secondo cui l'opera eforea sarebbe stata una passiva collezione di eventi; e finirebbe per attribuire a Dionigi scarsa comprensione del fatto che i problemi relativi a tali scelte di contenuto erano cruciali, semmai, proprio per chi componeva una storia universale. [4]

Con questi e simili rilievi non si vuole togliere nulla al valore di questo libro; semmai, al contrario, riconoscerne certi pregi. Si tratta di un contributo importante, la cui ricchezza di documentazione e ampiezza di prospettiva stimolano senz'altro il dibattito su un campo di indagine complesso e meritevole di ulteriori approfondimenti. L'Autore con il suo lavoro in effetti si propone, più che di fornire risposte definitive, di sollecitare future ricerche sull'oggetto (6): siamo sicuri che così sarà.


Note:

[1] R. Nicolai: La storiografia nell'educazione antica, Pisa 1992, 249-339 (cap. III: Il canone degli storici greci).

[2] Vd. R. Vattuone: Looking for the Invisible: Theopompus and the Roots of Historiography, in: G. Parmeggiani (ed.): Between Thucydides and Polybius: The Golden Age of Greek Historiography, Washington D.C. 2014, 7-37; G. Parmeggiani: Homeric Overtones and Comic Devices in Theopompus' Criticism of Philip's Companions, in: «Ktèma» 41 (2016), 393-406.

[3] Il giudizio ermogeniano andrebbe interpretato, credo, come un 'punto' soggettivo e abbastanza sommario sulla tradizione precedente, con le sue sfumature (si noti il limitante μᾶλλον δὲ οὐδ' ὅλως, ὅσα γε ἐμὲ γινώσκειν), nonché, al tempo stesso, come un indicatore, certo importante, sulle tendenze di studio e di imitazione nel II sec. d.C.: la più pacata valutazione che l'Autore sembra dare dello stesso passo nelle conclusioni (225) appare più condivisibile.

[4] L'esclusione di Eforo, a mio avviso, si intende meglio come reazione intenzionale di Dionigi alla scelta di Polibio di incoronare il Cumano come il primo e il solo dei predecessori ad aver composto una storia universale (V 33, 1-2 = Ephor. T 7), una posizione, questa di Polibio, che finisce per escludere Erodoto e Teopompo, esaltati invece da Dionigi proprio per l'ampiezza universale dei loro interessi e dei contenuti della loro inchiesta: vd. G. Parmeggiani: Eforo di Cuma. Studi di storiografia greca, Bologna 2011, 711-712. In altre parole, il silenzio di Dionigi su Eforo si spiega con la dialettica, anch'essa silenziosa, di Dionigi con Polibio (dialettica la cui esistenza, tra l'altro, l'A. non nega ma, anzi, sottolinea in altre circostanze: vd. e.g. 85).

Giovanni Parmeggiani