La chiave per entrare in questo importante studio di Carolyn Dewald è nel sottotitolo: A Structural Study. L'analisi che l'autrice conduce sul testo tucidideo infatti non è un'analisi narratologica, finalizzata esclusivamente alla descrizione di un testo narrativo e dei suoi meccanismi, del tipo di quelle condotte, ad esempio, da Irene de Jong sui poemi omerici, ma è un'analisi che, partendo dalle articolazioni strutturali della narrazione, vuole giungere a individuarne le funzioni (vd. 26 sulla interrelazione di forma e funzione).
La densa introduzione anticipa alcuni dei risultati dell'analisi, in particolare la forte differenza tra la struttura narrativa di 2. 1 - 5. 24 (la guerra archidamica), articolata in 119 unità chiaramente distinte e accostate paratatticamente, e quella della sezione successiva, dove la narrazione appare continua e organizzata per ipotassi. Le unità vengono distinte dall'autrice in cinque tipi: simple picture units, developed picture units, extended narrative units e, infine, strutture complesse che seguono lo schema a-b-a (con la narrazione che è interrotta da un excursus). Le due parti del libro corrispondono a questa ripartizione dell'opera tucididea.
La sezione più lunga dell'introduzione (7-22) è dedicata allo stato degli studi su Tucidide (e sulla storiografia) nell'ultimo quarto del XX secolo. Dewald definisce la sua posizione "as a chastened reconstructionist" (14) e afferma sia la possibilità di studiare Tucidide, il suo programma storiografico e le sue scelte, sia quella di comprendere la storia del periodo di cui si occupa, a patto di esaminare attentamente l'intersezione di forma e contenuto della sua opera. Un concetto importante è il parallelismo metanarrativo tra i protagonisti della vicenda storica, Tucidide come storico e noi come lettori, che sarebbe sostenuto dalle connessioni create dalla struttura narrativa (17).
Le unità narrative che compongono il racconto della guerra archidamica si aprono con una proposizione introduttiva che Dewald definisce 'formulare', dove sono regolarmente presenti un nuovo soggetto personale, un verbo attivo, un'indicazione di luogo e una di tempo. Ne deriva una struttura di tipo cronachistico (journal-like format) nella quale si alternano unità narrative diverse e tra loro correlate (le varie forme della correlazione sono analizzate alle pp. 86-111). Mentre le unità più brevi (le prime tre tipologie) sono piuttosto omogenee a livello formale, le unità più lunghe sono spesso riconoscibili più per la loro coerenza tematica che per la regolarità della struttura formale (72).
Dewald riconosce un'evoluzione nelle scelte narrative di Tucidide già nel racconto dell'ultima parte della guerra archidamica, che prepara la strada alla tecnica narrativa adottata dopo il cosiddetto secondo proemio. Le differenze strutturali dipendono in parte dall'evoluzione degli eventi, in parte, e soprattutto, dall'interpretazione che Tucidide intende dare di essi: il racconto degli anni della pace vuole esprimere una situazione di crescente tensione attraverso la velocità della narrazione e la riduzione dei dettagli e sottolineare gli sviluppi diplomatici che avrebbero condotto nuovamente alla guerra aperta (142 s.). Un ulteriore cambiamento di struttura si verifica in 6. 8 - 8. 109 (spedizione siciliana e guerra nell'Egeo), dove la narrazione diventa un unico resoconto, di cui le singole azioni sono parte. Le ultime pagine dello studio sono dedicate alla genesi dell'opera e alla struttura del libro I: se sulla basi di un'analisi strutturale non si può stabilire quando Tucidide ha composto le varie parti della sua opera (159), l'autrice afferma che il libro I è strutturalmente affine al racconto della guerra archidamica, ma è stato rivisto alla luce dell'esito del conflitto e dell'esperienza maturata dallo storico.
Il punto più critico nello studio della Dewald è l'affermazione per cui Tucidide richiede al lettore un'intervento decisivo nella costruzione della sua stessa opera: "by making a certain number of unit connections obvious, and by setting up others that are all but obvious, he demands that his readers become part of the process of making the History" (98). Corollario di questa formulazione è che "Thucydides leaves it to us to articulate what the connections mean, or which of a variety of overtones to consider most significant" (100 s.). Come si è visto, l'autrice, che analizza le strutture narrative alla ricerca delle loro funzioni, non accoglie le istanze del decostruzionismo, ma si ferma alla possibilità che il pubblico entri in qualche misura nel processo di produzione dell'opera. Il problema a questo punto è quello di stabilire quale sia la soglia, la misura dell'intervento del pubblico. Andando più in profondità occorre verificare se nella cultura ateniese del V secolo gli autori e il loro pubblico fossero abituati rispettivamente a produrre e a recepire messaggi che lasciassero in qualche misura aperti i livelli di interpretazione e che richiedessero una cooperazione da parte dei destinatari. L'esempio più utile a questo proposito viene dalla tragedia: i paradigmi mitici delle tragedie infatti potevano essere recepiti a vario livello e il pubblico poteva stabilire connessioni diverse tra il paradigma mitico e l'attualità. Da una ricerca che sto conducendo sui paradigmi mitici interni alle tragedie è risultato che i collegamenti tra questi paradigmi e la vicenda portata sulla scena potevano essere di diverso spessore a seconda della competenza e anche della situazione emotiva del pubblico (un'anticipazione è contenuta in "L'emozione che insegna: parola persuasiva e paradigmi mitici in tragedia", in: Sandalion 26-28 [2003-2005], 1-44). Ora, Tucidide si confrontava con i due generi letterari che producevano paradigmi, la poesia epica e la tragedia, ed era abituato ai meccanismi analogici con cui autori e pubblico stabilivano collegamenti interni ai drammi e tra i drammi e l'attualità.
In conclusione, questo studio contribuisce ad approfondire la nostra conoscenza delle scelte narrative di Tucidide in relazione alla materia trattata. Il modello di analisi proposto non è ovviamente l'unico possibile, ma va apprezzato lo sforzo di ricondurre ad alcune tipologie essenziali tutti i procedimenti narrativi. Alcuni criteri possono destare perplessità: ad esempio il limite di 7 righe di testo per le simple picture units e quello di 25 righe per le developed picture units. Proprio l'impossibilità di applicare questo modello alla seconda parte dell'opera (145: l'analisi procede per esempi piuttosto che sulla base di dati quantitativi) produce osservazioni interessanti sulla differente tecnica narrativa applicata da Tucidide, che sarebbe il risultato della volontà di rappresentare diversamente gli eventi narrati. Uno dei principali contributi di questo studio è proprio quello di aver valorizzato le scelte narrative come prodotto di una precisa e deliberata decisione dell'autore, che attraverso le scelte narrative suggerisce ai suoi lettori una chiave per interpretare gli eventi. Ne deriva che la scelta di un resoconto più o meno dettagliato è uno strumento interpretativo e non un indizio di incompletezza o di mancata revisione (85; 156). La chiarezza dello stile, la sobrietà delle note, la collocazione di molti materiali nelle tre appendici e la scelta di riportare la traduzione (di Steven Lattimore con adattamenti) di tutti i passi citati permette la lettura di questo libro anche a lettori non specialisti, ma interessati alla storiografia e in particolare all'indagine sulle forme narrative della storiografia, indagine che in ogni caso deve precedere qualunque utilizzazione degli storici antichi come fonte per ricostruire gli eventi del passato.
Carolyn Dewald: Thucydides' War Narrative. A Structural Study, Oakland: University of California Press 2005, xiv + 258 S., 28 tables, ISBN 978-0-520-24127-5, GBP 32,50
Bitte geben Sie beim Zitieren dieser Rezension die exakte URL und das Datum Ihres letzten Besuchs dieser Online-Adresse an.