Jan Dreßler: Wortverdreher, Sonderlinge, Gottlose. Kritik an Philosophie und Rhetorik im klassischen Athen (= Beiträge zur Altertumskunde; Bd. 331), Berlin: De Gruyter 2014, VIII + 380 S., ISBN 978-3-11-034551-3, EUR 109,95
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Il volume di Dreßler, dal titolo accattivante, consta di una Introduzione, con la presentazione del tema e del metodo di lavoro; di tre capitoli, dedicati rispettivamente alla critica della retorica, alla critica della filosofia e ai processi per empietà contro i filosofi; di un epilogo, dedicato alla legge di Sofocle del 307/6 contro le scuole filosofiche; e infine di una conclusione, che riassume i contenuti della ricerca e i suoi risultati.
Il problema al centro della ricerca è l'opinione dei contemporanei sui maestri di retorica e sui filosofi (percepiti come esponenti di una medesima cultura, come rivelano le Nuvole aristofanee) e sulla formazione superiore innovativa che essi proponevano nelle loro scuole. L'indagine riguarda in particolare la percezione del valore e dell'utilità di questi studi, e anche del pericolo che essi rappresentavano, secondo l'opinione pubblica, per i valori e le norme condivisi nell'ambito della polis e quindi per la stabilità del sistema sociale. Obiettivo è ricostruire il discorso critico sviluppatosi soprattutto nel contesto ateniese, quello che le fonti ci permettono effettivamente di conoscere.
Il cap. 2, "Die Macht der Rede", considera il potenziale negativo che l'opinione pubblica percepiva nella forza della parola in ambito sia politico sia più genericamente culturale. Benché la retorica in sé sia uno strumento, utilizzabile in positivo o in negativo, il potere persuasivo della parola distaccato dalla verità, propugnato dalla sofistica, ha in sé una ambiguità pericolosa. Il pericolo è percepito soprattutto in campo politico: la retorica prepara a parlare nelle assemblee e nei tribunali e ha quindi una funzione centrale nel sistema politico. Di conseguenza, il rischio che il potere della parola sia usato in politica per vantaggi individuali invece che per il bene comune è acutamente percepito; come osserva Dreßler, il ruolo della retorica è visto come un elemento di debolezza del sistema democratico. A tale debolezza si tenta di sopperire con una serie di deterrenti giuridici; una soluzione più radicale sarebbe la capacità del popolo di controllare e neutralizzare le capacità di manipolazione degli oratori, ma il popolo è notoriamente ritenuto privo delle qualità per poterlo fare (si veda la forte presenza del tema in Aristofane, per esempio nei Cavalieri). Da parte democratica, la soluzione è individuata nella collaborazione tra oratore e demos, che Tucidide sottolinea a proposito di Pericle; da parte antidemocratica, invece, il pregiudizio antipopolare induce a non credere alla praticabilità di questa via (è il caso per esempio di Isocrate, che preferisce puntare sulla formazione etica dell'oratore). Un secondo aspetto della critica alla retorica riguarda la possibile sovversione dei valori connessa con la capacità di manipolazione della parola e la conseguente disgregazione della società (Dreßler fa opportunamente riferimento al racconto tucidideo della stasis di Corcira). E' una critica spesso rivolta ai maestri, che attacca la loro relazione privilegiata con gli allievi, ed è una critica che tocca non solo i retori ma anche i filosofi, spesso accusati di mettere in discussione i valori tradizionali.
Dopo aver sottolineato l'ambivalenza della retorica, Dreßler analizza, nel cap. 2, "Der Sinn der Philosophie", l'immagine del filosofo, spesso presentato in letteratura (e in particolare nella commedia) come un individuo bizzarro, lontano dal mondo normale, e dedito a studi privi di rilevanza pratica; prende inoltre in esame la reazione di intellettuali come Isocrate, che sostiene l'utilità pratica di una formazione culturale non fine a se stessa ma orientata alla prassi, e come Platone e Aristotele, che rivendicano l'utilità intrinseca della formazione filosofica. Ma un topos diffuso e più pericoloso nella percezione della figura del filosofo è l'accusa di corrompere i giovani: portatori di una cultura nuova e rivoluzionaria, sofisti e filosofi danno l'impressione di allontanare gli allievi dalle autorità tradizionali e di avviarli a interessi che li distoglievano dall'attività di cittadino; per questo alcuni intellettuali rivendicano l'utilità formativa della cultura filosofica sia in vista della prassi (Isocrate), sia in sé (Platone e Aristotele).
Il cap. 3, "Philosophie und Asebie", si concentra sui processi di empietà contro i filosofi, accusati di ateismo, di agnosticismo o di relativismo e quindi visti come un pericolo per la società. Giustamente Dreßler mette in evidenza che i filosofi, soprattutto i naturalisti, non sono in realtà atei, ma inseriscono il divino nel loro sistema filosofico mettendo in discussione le credenze tradizionali; è questo che porta i filosofi in collisione con la religione della polis e con le sue pratiche sociali, ritenute fondamentali per l'identità della comunità e per la sua coesione. Le accuse di asebeia, alcune delle quali possono aver avuto motivazioni politiche, non denunciano un clima di intolleranza, ma sono collegate soprattutto con la preoccupazione di assicurare la stabilità della società. L'idea che il filosofo naturalista sia visto come un mago, capace di condizionare le forze della natura, non sembra trovare conferma sufficiente nelle fonti; quello che di loro preoccupa è il contrasto tra la loro visione religiosa e quella dei contemporanei. La preoccupazione è tale che porta a misure concrete, come appunto i processi: si tratta di eccezioni, ma che rivelano come la critica sia collegata con la tutela del sistema sociale.
L'epilogo, dedicato alla legge di Sofocle del 307/6 contro le scuole filosofiche, colpita da graphè paranomon e difesa da Democare in un discorso di cui si sono conservati alcuni frammenti, conferma, con la brevità della sua durata, che i filosofi vennero col tempo accettati come figure attive nell'educazione e nella cultura; che la legge del resto avesse motivazioni sostanzialmente politiche (da ricercare nelle relazioni del Peripato con i Macedoni) lo rivelano proprio i frammenti di Democare, che insiste sulla valutazione dei filosofi come cattivi cittadini e aspiranti tiranni.
Molti sono i motivi di interesse di questo volume, che individua e tratta un tema significativo e conduce la sua analisi con molta acribia, senza mai forzare le fonti. Molto interessante è l'analisi delle Nuvole, forse il testo più importante per la ricerca qui condotta, che non a caso ritorna in diversi punti del testo, e in cui Socrate è il simbolo di un'intera generazione di maestri di retorica e di filosofia. Importante e, a mio parere, centrata è l'individuazione degli aspetti più significativi del discorso critico contro le nuove forme di educazione: la questione dell'effettiva utilità degli studi retorici e filosofici, il tema della possibile collisione con la visione del mondo condivisa dall'opinione pubblica e la preoccupazione per il rischio di sovversione dei valori che tenevano unita la società. Condivido il peso dato all'aspetto politico, cioè alla crisi del sistema cui sia la retorica come strumento di intervento in sede pubblica, sia la filosofia come strumento di messa in discussione dei valori rischiavano di contribuire: a questo proposito, trovo apprezzabile la discussione del ruolo della retorica nel processo decisionale, che emerge nel dibattito tra Cleone, che propone un punto di vista antiretorico puntando sul diritto a decidere del popolo, e Diodoto, che insiste in chiave periclea sulla corresponsabilità del popolo (qui poteva essere citato Cinzia Bearzot, Il Cleone di Tucidide tra Archidamo e Pericle, in Ad fontes! Festschrift Dobesch, Wien 2004, 125-135, che riguarda proprio il tema discusso). Infine, mi sembra un contributo importante aver individuato nell'autodifesa sociale la chiave per lo sviluppo di un discorso critico contro forme di educazione percepite come rivoluzionarie e potenzialmente disgreganti: ciò permette di spiegare bene casi come i processi per empietà e il processo di Socrate. Il limite principale è una certa ripetitività, tipica delle dissertazioni; forse una maggiore sintesi avrebbe giovato al lavoro. La bibliografia è molto ricca, pur con qualche lacuna; pochi i refusi.
Cinzia Bearzot