Pietro Delcorno: Lazzaro e il ricco epulone. Metamorfosi di una parabola fra Quattro e Cinquecento (= Studi e Ricerche), Bologna: il Mulino 2014, 310 S., 28 Abb., ISBN 978-88-15-25106-0, EUR 30,00
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Considero "Lazzaro e il ricco epulone. Metamorfosi di una parabola fra Quattro e Cinquecento" un piccolo modello di ricerca: per la centralità del tema scelto e per il metodo con il quale lo si è indagato. La parabola relativa alla relazione fra il ricco per niente generoso e il povero che bussa alla sua porta (o attende nei pressi del tavolo in cui il ricco banchetta che cada qualche briciola da raccogliere) è qui usata come un reagente, un elemento utile ad indagare le modificazioni che hanno avuto luogo nel lungo periodo (più lungo di quello indicato dal titolo e in realtà dal Trecento al Cinquecento ed oltre) nella società, anzi nelle società giacché gli ambienti indagati sono più d'uno e caratterizzati da ineguali vicende, e nelle diverse culture, compresa quella protestante.
Pietro Delcorno affronta un intrico di questioni che configurano un vero e proprio campo di studi relativo alla diade ricchezza-povertà indagata negli atteggiamenti individuali e collettivi, nelle politiche cittadine, nelle posizioni teoriche e nelle rappresentazioni iconografiche. Il tema attraversa i tempi e riguarda anche i nostri incalzandoci a pensare e a provvedere e per esso continua ad avere straordinaria efficacia la parabola del ricco senza nome e del povero che non ha niente ma ha almeno un nome. Questo nome ha lasciato segni nella storia e nella geografia, dai lazzaretti (luoghi periferici di cura pietosa per i poveri malati) ai lazzaroni (poveri reattivi, niente affatto in attesa paziente di raccogliere qualche briciola caduta dal tavolo).
L'intrico di temi e questioni ha richiesto all'autore il ricorso a un ricco intreccio di fonti e questo è uno degli elementi che a mio avviso rende esemplare la ricerca compiuta a partire da una storia che come nessun altro racconto biblico, a parte la Passione, ha catturato immaginazione e attenzione (284). Del resto solo un intreccio di fonti può catturare i molti volti della parabola e cogliere i diversi registri impiegati, per renderla attiva, per suscitare reazioni ed intraprendere politiche nel corso dei secoli. Sono state così analizzate numerose prediche di diversi autori e di diversi periodi e luoghi, ma anche trattati, affreschi e più in generale fonti iconografiche. Al tutto l'autore ha combinato lo studio delle rappresentazioni teatrali bassomedievali o di prima Età moderna dotate di finalità pedagogiche. In ognuna di queste strade percorse dalla parabola e successivamente dall'analisi di Pietro Delcorno appare costante l'urgenza di comunicare, il disegno di rendere efficace il discorso e la critica sulla ricchezza di pochi e sulla povertà di molti. Un discorso che intendeva farsi opinione diffusa, diventare mentalità collettiva per stimolare o sostenere l'azione tanto dei singoli quanto delle autorità cittadine che se avviavano iniziative dovevano renderle ricevibili. Le iniziative potevano riguardare la razionalizzazione della raccolta delle elemosine per essere più efficaci ed evitare disordini o spese maggiori ma anche la fondazione di nuove istituzioni per far fronte con originalità e in maniera adeguata a tempi modificati e a stati di povertà che se non erano propriamente nuovi venivano almeno definiti in maniera nuova.
La parabola evangelica al centro di questo studio porta indietro il discoro sulla relazione ricchi-poveri ben antecedentemente al tempo di Francesco e dei suoi seguaci che hanno dato nuovo e suggestivo impulso al discorso sulla povertà e dato vita a una discussione che ha provocato molti effetti non solo sul piano teorico. Della "ricchezza" o "povertà" francescana si sono occupati in molto negli ultimi anni [1], si può dire così anche della parabola di Lazzaro e del ricco epulone [2] ma il lavoro di Delcorno costituisce un unicum per taglio d'analisi e varietà di fonti utilizzate.
Come è noto la parabola ha una struttura semplice basata sul capovolgimento: chi ha su questa terra non è detto che avrà anche nell'aldilà e viceversa, dunque a saper umilmente pazientare si potrà assistere a un ribaltamento delle sorti. Ricco e povero sono aggettivi ed hanno un senso relativo: come ci sono doversi gradi di ricchezza e povertà così diversi tipi di ricco e di povero. C'è il ricco generoso, l'uomo ben fornito di mezzi e capace di compiere "investimenti" giusti, ad esempio nel Monte di Pietà, oppure l' avaro che non fa circolare beni ed è del tutto sordo alle richieste del singolo o della comunità che lo sollecita a compiere gesti solidaristici. Per i predicatori intenzionati ad agire sulla realtà per migliorare la vita cittadina e rendere più sopportabile la diversità di sorti, la storia di Lazzaro era di capitale importanza: Vangelo tutto d'oro (196), come la definì Bernardino da Feltre, un sermone che ne vale molti (48) o un racconto che ha la forza di una martellata (51). La predicazione serviva ad informare, a sensibilizzare, a promuovere l'azione, esattamente come il teatro pedagogico dove la messa in scena della parabola dava luogo ad efficacissimi effetti (107).
Formidabili predicatori come Bernardino da Siena o Bernardino da Feltre ne seppero trarre argomenti utili, e penso in particolare Bernardino da Feltre strenuamente impegnato a costituire un particolare presidio per i poveri meno poveri utilizzando le pur limitate disponibilità a donare dei più ricchi. Con il Monte Pio ideato e diffuso dai Minori Osservanti negli ultimi decenni del XV secolo le poche briciole cadute dall'uno o dall'altro tavolo di ricchi non sempre davvero generosi si trasformavano in un monte di monete da prestare a mite interesse ai "pauperes pinguiores" in questo modo sottratti a una condizione di povertà senza ritorno. L'idea era nuova e importante, la tradizionale parabola risultò funzionale alla novità. Il mio non recente interesse per il tema dei Monti di Pietà [3] mi induce a sottolineare questo nesso che non è che uno dei molti ricavabili dalla lettura del libro di Pietro Delcorno.
Se nelle città italiane si ricorse alla parabola per sostenere i Monti Pii, fuori d'Italia, a Basilea e a Strasburgo Sebastian Brant nella "Nave dei folli" e Johann Geiler von Kaysersberg in un ciclo di prediche denunciarono con efficacia il divario, anzi l'abisso fra la ricchezza di pochi e la povertà di moltissimi e la follia di questo scandalo sostenendo la necessità di porvi rimedio (116 sgg).
Ma la parabola risultava funzionale anche a rappresentare un altro genere di contrapposizione, quella fra la corte pontificia nella parte del ricco Epulone e Lutero in quella del povero Lazzaro: uno degli straordinari effetti della modernità. Quest'ultima tra l'altro produsse una sempre più precisa distinzione fra le povertà funzionali al trattamento cittadino di esse (vedere capitolo VII: Quale povero?). I "pauperes", non più generica categoria contrapposta a quella dei "potentes" erano di tanti e diversi tipi, facevano pena ma anche paura e perciò serviva prevenire e controllare. Tra Medioevo ed Età moderna sorsero e si moltiplicarono istituzioni per i fanciulli abbandonati, per gli anziani in difficoltà, per i ricchi decaduti o per i malati del nuovo male, la sifilide. Per questi ultimi si realizzarono apposite istituzioni al confine della città denominandole lazzaretti (253), dal nome del protagonista della nostra parabola. Nel frattempo maturava un dibattito sull'assistenza (nel "De subventione pauperum" di Vivès si cita due volte la parabola di Lazzaro, 258) e su chi ne aveva diritto che consuona con molte attuali discussioni di fronte a nuove e drammatiche richieste di aiuto. Non c'è dubbio: la parabola è ancora viva, proponibile e attiva, capace di suscitare reazioni ed anche il discreto ed opportuno collegamento all'universalità ed attualità del tema (si veda il cenno, 26, al pensatore contemporaneo David Harvey che discutendo di diritti umani sottolinea il rischio di comportarsi come "mendicanti che vivono delle briciole che cadono dalla tavola del ricco") contribuisce a fare di questo studio rigoroso, informato ed appassionato un piccolo modello, come si è detto in esordio, di indagine e di ricostruzione storica.
Note:
[1] G.Todeschini: Ricchezza francescana: dalla povertà volontaria alla società di mercato, Bologna 2004.
[2] J.Hanska: "And the Rich Man also Died, and He Was Buried in Hell": The Social Ethos in Mendicant Sermons, Helsinki 1997; S. L. Wailes: The Rich Man and Lazarus on the Reformation Stage. A Contribution to the Social History of German Drama, London 1997; K. D. Sievers: Die Parabel vom reichen Mann und armen Lazarus im Spiegel bildlicher Überlieferung, Kiel 2005; E. Bain: église, richesse et pauvreté dans l'Occident medieval: l'exégèse des Evangiles aux 12e et 13e siècles, Turnhout 2014, in partic. 329-59.
[3] M. G. Muzzarelli: Il denaro e la salvezza. L 'invenzione del Monte di Pietà, Bologna 2001.
Maria Giuseppina Muzzarelli