Sergio Yona / Gregson Davis (eds.): Epicurus in Rome. Philosophical Perspectives in the Ciceronian Age, Cambridge: Cambridge University Press 2022, X + 207 S., 3 s/w-Abb., ISBN 978-1-108-84505-2, GBP 75,00
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La presenza e la diffusione dell'Epicureismo in Italia, e a Roma in particolare, è un soggetto che continua a attirare l'attenzione degli studiosi al di là di numerosi contributi più o meno recenti e spesso di buona qualità. Problemi aperti restano molti e punti oscuri o non ancora completamente elucidati non mancano.
La tendenza a dimenticare figure forse solo apparentemente minori a causa anche della mancanza quasi assoluta in certi casi di testimonianze e frammenti della loro produzione o dei giudizi sempre negativi nei loro confronti soprattutto da parte di Cicerone (e penso qui a Catio insubre, Amafinio, Alcio e Filisco) a favore di altre quali Lucrezio e Filodemo di Gadara può far correre il rischio di formarsi una idea se non falsa, almeno sfasata della recezione dell'Epicureismo nel mondo romano.
Che cosa avremmo saputo di Filodemo filosofo e delle sua lettura delle dottrine epicuree se l'eruzione del Vesuvio del 79 d.C. non ne avesse miracolosamente conservato numerose opere seppure in uno stato spesso disastroso sepolte sotto la lava in una sontuosa Villa marittima a Ercolano? Il suo nome sarebbe stato ancora più evanescente di quello degli altri Epicurei sopra citati, e la sua fama sarebbe stata legata soltanto ai piacevoli epigrammi tramandati dall'Antologia Greca.
Ma questo è un discorso a sé che non può essere qui sviluppato. Un discorso tuttavia che sarebbe tempo ormai di affrontare sul serio.
La pubblicazione del volume di Yona e Davis si inserisce nella tradizione degli studi su Epicuro a Roma e nello stesso tempo se ne distingue soffermandosi su aspetti finora non sempre opportunamente studiati o qui ripresi da nuovi punti di vista. I risultati (che siano o meno convincenti) contribuiscono a allargare le nostre conoscenze su singoli temi e su protagonisti della significativa e indubbia presenza della dottrina epicurea sul suolo italico nel I secolo a.C.
Il volume si declina in dieci brevi capitoli suddivisi in due sezioni, precedute da una introduzione di Yona (1-8) computata come capitolo 1.
La prima parte è intitolata "Epicurus and Roman Identities" (9-108). G. Roskam, "Sint ista Graecorum: How to be an Epicurean in Late Republican Rome - Evidence from Cicero's On Ends 1-2" (cap. 2) insiste sull'impossibilità da parte di Cicerone di accettare il principio epicureo dell'atarassia perché il non essere impegnati in politica andrebbe contro gli interessi dello Stato. Se questo fosse davvero il caso e se la Romanitas precludeva la dottrina di Epicuro allora sarebbe difficile spiegare come quella dottrina fosse divenuta popolare in tutti i ceti della società romana. Ancora su Cicerone e sulla sue posizioni antiepicuree non sempre oggettive e talvolta distorte insiste altresì D.P. Hanchey, "Cicero's Rhetoric of Anti-Epicureanism: Anonymity as Critique" (cap. 3). Il che porta a credere che la realtà doveva essere molto più sfumata di quanto si possa credere e che gli intellettuali romani dovevano riuscire a proporre soluzioni di compromesso. N. Gilbert, "Was Atticus an Epicurean?" (cap. 4) ribadisce che Attico, l'amico di Cierone, fu realmente un epicureo sia nel modo di vivere sia in quello di pensare. Al contrario, Katharina Volk, "Caesar the Epicurean? A Matter of Life and Death" (cap. 5) nega che Giulio Cesare fosse stato un vero epicureo e insiste sul fatto che se i Romani potevano (e spesso lo fecero) approvare alcuni insegnamenti del Giardino (come la teoria atomica e il rifiuto dell'aldilà) nello stesso tempo ne rifiutavano altri in particolare quelli relativi alla vita semplice e all'amore. L'articolo di Monica R Gale, "Otium and Voluptas: Catullus and Roman Epicureanism" (cap. 6) riprende il dibattito sull'adesione o meno di Catullo all'Epicureismo, che la studiosa nega attraverso un confronto fra poemi di Catullo e epigrammi di Filodemo e una serie di nessi intertestuali tra Catullo e Lucrezio. Se Gale ha ragione a riprendere su rinnovate basi l'insieme della questione, non sempre le sue conclusioni appaiono convincenti come ha ben sottolineato J. Godwin (BMCR 2022.10.33) insistendo sul fatto che che Catullo "like Horace in the next generation - resists tidy labels and is happy to change his tune to suit his poetic purpose, while also making full use of the philosophical hot potatoes of the time".
La seconda parte ha come titolo "Epicurus and Lucretian Postures" (109-185) e è consacrata tutta a Lucrezio. Elizabeth Asmis, "'Love it or Leave it': Nature's Ultimatum in Lucretius' On the Nature of Things (3.931-962)". La studiosa spiega nei dettagli gli argomenti contro la paura della morte che Lucrezio espone nel III libro del DRN. Il messaggio che viene dalla natura è utile nelle intenzioni di Lucrezio non solo per gli Epicurei, ma anche per ogni romano che soffre a causa di un timore irrazionale nei confronti della morte (cap. 7). Anche Pamela Gordon, "Kitsch, Death and the Epicurean" (cap. 8) ha come oggetto la 'diatriba' contro la paura della morte in Lucrezio interpretata a partire dall'argomento singolare che "the most vehement strains in Lucretius' 'diatribe' [...] are a polemic against kitsch, and that this polemic intersects with a broader Epicurean tradition of frank criticism" (129). M. Hanses, "Page, Stage, Image: Confronting Ennius with Lucretius' On the Nature of Things" (cap. 10) suggerisce una lettura convincente dell'uso di Ennio da parte di Lucrezio, con particolare riferimento agli episodi di Pirro, di Ifigenia e alla guerra di Troia nel suo poema. Infine T.H.M. Gellar-Goad, "Lucretius on the Size of the Sun" (cap. 10) interpreta Lucrezio, 5, 585-591.
Il volume è completato da una bibliografia complessiva (186-203) e da un indice sommario (204-207). Nella bibliografia predominano (né c'è da meravigliarsene) i titoli in lingua inglese e sarebbe inoltre facile segnalare qua e là qualche lacuna.
Questo succinto sommario non rende ovviamente conto della ricchezza delle argomentazioni e dei dettagli che caratterizzano i dieci capitoli del volume e che offrono una lettura spesso innovativa e talora convincente di alcuni aspetti fondamentali relativi alla presenza e alla diffusione dell'Epicureismo nel mondo Romano.
Il grande assente del volume (anche se il suo nome vi ricorre a più riprese e la sua ombra è onnipresente) è Filodemo. Non è certo una dimenticanza, ma una scelta volontaria che risponde a esigenze e a motivi che, se ho visto bene, non sono mai resi espliciti. Uno di questi è probabilmente quello che Filodemo non è considerato un vero e proprio epicureo Romano, ma un greco che si era istallato in Italia con l'intento di contribuire comunque una volta per tutte alla diffusione e all'accettazione della filosofia del Giardino.
È ovvio che ogni volume collettivo risponde a specifiche esigenze e a determinate finalità e come tale deve essere accettato. Al di là di questo, "Epicurus in Rome" dà una idea conveniente e per certi aspetti suggestiva di alcune almeno delle "Philosophical Perspectives in the Ciceronian Age".
Tiziano Dorandi