Roland Étienne: Les Conduites transgressives des rois grecs (= Histoire Culturelle; 18), Paris: Classiques Garnier 2022, 154 S., 22 s/w-Abb, eine Tbl., ISBN 978-2-406-12237-1, EUR 19,00
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Il volumetto di Roland Etienne prende spunto da una memoria sul palazzo greco in età classica ed ellenistica, risalente al 1966/67, e si propone di affrontare la questione della regalità ellenistica e del suo ambiente di riferimento, la corte, non solo dal punto di vista letterario, archeologico e architettonico, ma anche antropologico, tenendo contro delle prospettive di ricerca affermatesi nel frattempo. Si tratta di un lavoro di sintesi, sostenuto dalle grandi competenze dell'A. nel campo dell'archeologia, della storia dell'architettura e della storia ellenistica. Intento principale dall'opera è fornire elementi di riflessione su questa problematica riconsiderando creazioni materiali, immagini, comportamenti, rituali e analizzandone la funzione di legittimazione verso l'ambiente interno della corte e soprattutto verso l'esterno.
Il volume inizia con una breve presentazione, necessariamente selettiva, degli studi principali (pp. 9-11). Seguono una serie di capitoli che, a dispetto del titolo, non sono necessariamente dedicati ai comportamenti trasgressivi dei sovrani. Li attraversa una linea interpretativa unitaria: palazzo e corte, nei loro diversi aspetti, non si ispirano tanto a modelli orientali quanto a linguaggi locali, unificati da una tendenza omerizzante (ben nota, del resto, presso i Macedoni e caratteristica del loro stile di vita).
Il primo capitolo ("Il re nel suo palazzo", pp. 11-52) muove da una recensione dei palazzi noti, corredata di un buon apparato iconografico, e ne considera alcuni aspetti architettonici peculiari: le dimensioni, l'organizzazione intorno a corti multiple, la monumentalizzazione della facciata, la presenza di sale con funzioni diversificate, la ricchezza della decorazione. Tutti questi aspetti inducono l'autore a parlare, più che di palazzo, di complesso palaziale, che comprende sontuosi ambienti di ricevimento, cortili adibiti a giardini e palestre, vestiboli, logge e verande, nonché spazi religiosi, particolarmente importanti per la volontà di stabilire un legame particolare fra il re e la divinità (volontà che, come si vedrà, sembra esprimersi anche nelle decorazioni). Dall'analisi sembra emergere un dato importante: non sembra esistere differenza tra monarchia nazionale e monarchia personale orientalizzante, il che induce a non esagerare il ruolo del modello orientale. Con metodo impeccabile, la trattazione considera l'apporto delle fonti letterarie per una corretta interpretazione dei dati archeologici, a volte in sé di difficile comprensione.
Il secondo capitolo ("Lusso reale", pp. 53-78) dedica ampio spazio di riflessione alla cosiddetta "tomba di Filippo" di Verghina, il cui corredo, come è convinzione dell'Autore, era costituito da oggetti proveniente dal palazzo reale. Di questi oggetti viene presentato un catalogo: si tratta di gioielli, armi da parata e da combattimento, oggetti vari di diverso pregio, certamente non limitati al solo uso funerario. La scelta di questi oggetti sembra essere stata guidata dalla volontà di seguire le pratiche funerarie omeriche. Una certa attenzione viene prestata alle decorazioni floreali, presenti su stoffe, mosaici e altri elementi decorativi: l'Autore si domanda se si tratti solo di una questione di gusto, ma con l'aiuto dei testi letterari (per esempio, la descrizione offerta da Ateneo della tenda cerimoniale di Tolemeo II) preferisce avanzare l'ipotesi che si intendesse evocare un ambiente straordinariamente bello e "divino", in grado di stabilire un legame fra re e divinità. Una trattazione a parte è riservata alla divinità femminile denominata Rankengöttin, in cui la parte bassa del corpo è costituita da foglie di acanto; per questa immagine è stata fatta l'ipotesi di una dipendenza da modelli orientali o occidentali, ma l'A preferisce pensare ad un linguaggio iconografico locale, tipico dell'area macedone e tracia.
Il terzo capitolo ("Il re mangia", pp. 79-98) studia le forme del banchetto reale e introduce il tema della trasgressione, dato che nel banchetto si esprimeva al massimo la tryphe del re, attraverso gli eccessi nel vino e nel cibo. Il capitolo tratta, in base agli esempi della tenda di Tolemeo (Ateneo) e della sala da pranzo di Cleopatra VII (Lucano), del numero degli ospiti (un numero eccessivo di posti, che supera gli spazi dedicati agli dei, è segno di hybris), della decorazione delle sale (l'uso di materiali eccessivamente preziosi costituisce atto di empietà verso gli dei), del lusso del mobilio e delle stoviglie. Attraverso l'esempio del pranzo di nozze del macedone Carano, di cui parla Ateneo, viene commentato il banchetto come luogo di trasgressione, che all'uguaglianza tra pari sostituisce la hybris. Anche in questo caso l'Autore preferisce suggerire un modello omerizzante per la tryphe reale.
Il quarto capitolo ("Il re caccia", pp. 99-116) analizza i fregi macedoni che mostrano la caccia come attività tipica del sovrano. Gli animali rappresentati (cervidi, cinghiali, orsi, leoni) hanno suscitato un dibattito, soprattutto nel caso dell'orso, la cui presenza in Grecia, sia sul piano faunistico che su quello mitografico, non pare accertata. Piuttosto che a Oriente, dove la figura del re cacciatore non è presente, l'Autore preferisce guardare all'area tracia e alla tradizione omerica secondo cui l'orso compare (come sulla cintura di Eracle nell'Odissea) quando si intende sottolineare il carattere "selvaggio" della caccia. Lo stesso per il leone, che pur essendo tema iconografico orientale era presente nei Balcani meridionali. Anche in questo caso sembra trattarsi di un tratto omerizzante.
Il quinto capirolo ("Il re danza", pp. 117-126) esamina alcuni passi di storici (Polibio, Diodoro, Livio) relativi ai comportamenti di Antioco IV, così anomali da guadagnare al re l'epiteto di Epimanes. In particolare, l'Autore si sofferma, oltre che su alcuni atteggiamenti plebei (che poterebbero risalire alla tradizione macedone del re primo tra pari), sulle danze dionisiache, che lo facevano apparire un posseduto, appunto Epimanes: qualcosa di riprovevole e di trasgressivo per un sovrano.
Il sesto capitolo ("Rituali reali", pp. 126-137) parte dai protocolli reali achemenidi per mostrare che alcuni aspetti dei rituali macedoni non hanno in realtà origine orientale. Il sovrano macedone (esclusi i Lagidi, che si presentano come nuovi faraoni) si limita a vestire porpora e diadema; se non osserva questo stile, è considerato un istrione, come Demetrio Poliorcete. Un aspetto particolare è il legame tra il re e il suo cavallo; l'Autore, pur non entrando dei particolari della questione, esprime però l'idea che il cavallo cornuto rappresentato sulle monete e diversamente interpretato rappresenti Bucefalo. Infine, un commento è riservato alla panoplia del re, a cominciare da quella di Alessandro, considerata imitazione omerica.
La breve conclusione sottolinea il carattere di strumento ideologico del palazzo e della corte, insistendo sulla prevalenza del linguaggio locale rispetto a quello orientalizzante; gli eccessi sarebbero dovuti all'instabilità del sistema, legato ai problemi di successione.
Il libro è agile, ben documentato e di gradevole lettura. Il riferimento a modelli greci dell'ideologia reale è a mio avviso convincente: lo stesso sistema della monarchia assoluta non ha solo modelli orientali, ma trova riscontro, per esempio, nelle tirannidi occidentali. La bibliografia, collocata alla fine di ogni capitolo, è piuttosto selettiva, ma ciò corrisponde alla natura del libro. Un libro in cui si riversa tutta la competenza dell'Autore sui temi complessi che riprende in considerazione.
Cinzia Bearzot