Niklas Rempe: Nomoi. Soziale Normen und Gesetze der griechischen Welt bis 450 v. Chr. (= Hamburger Studien zu Gesellschaften und Kulturen der Vormoderne; Bd. 29), Stuttgart: Franz Steiner Verlag 2024, 384 S., 1 s/w-Abb., ISBN 978-3-515-13745-4, EUR 64,00
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Rempe stesso definisce il contenuto del suo libro "eine chronologisch aufgebaute, semasiologische Arbeit" (23, 303). Di fatto, come mostra l'Indice (9-10), il filo conduttore è proprio il significato del termine nomos/nomoi e dei suoi derivati: dall'età di Omero ed Esiodo (cap. 2) si passa al periodo di transizione dal VII al VI secolo (cap. 3), poi al periodo che va fino al primo quarto del V secolo (cap. 4), per terminare con la data spartiacque del 450 (cap. 5). Seguono brevi "Schlussbetrachtungen" (cap. 6), una tavola cronologica delle fonti, la bibliografia e gli indici (dei luoghi, delle persone, delle cose notevoli, delle fonti).
Soltanto nella penultima pagina delle "Schlussbetrachtungen" Rempe chiarisce che oggetto della sua indagine non sono "das Recht, die Gerechtigkeit der Griechen etc." (310), come invece il titolo del libro avrebbe potuto far pensare. No, oggetto della ricerca è proprio ristretto al significato da attribuire al termine nomos/nomoi nei vari contesti che le fonti presentano. Il punto di partenza sono i testi esiodei, con particolare riferimento ai versi dove vengono qualificate come nomos specifiche "Verhaltensregeln". I nomoi sono, quindi, soltanto una componente del complesso delle "soziale Normen" (in cui rientrano themistes, dikai ecc.). Ce lo conferma Hes. Theog. 65-67, dove ai nomoi sono accostati gli ethea/ethe (inspiegabilmente traslitterato costantemente con ethoi, anche nell'indice analitico, 364). Perciò eunomia, l'unico termine collegato a nomos che ricorre in Omero (Hom. Od. 17. 483-487) (35 s.), secondo Rempe va inteso nel senso di "richtige Ausführung" di una specifica norma di comportamento, salvo poi, in epoca successiva e sulla base di testimonianze poetiche piuttosto vaghe, cambiare misteriosamente di significato, passando a indicare uno "Zustand" collettivo, come d'altronde lo si intende di solito. A mio parere quest'approccio restrittivo al significato di nomos/nomoi non è adeguatamente giustificato, perché non c'è alcun criterio oggettivo che consenta di isolare i nomoi dalle altre "soziale Normen". Ciò che distingue i nomoi, secondo Rempe, sono "der göttliche Ursprung und die entsprechend göttliche Durchsetzung der Bestrafung bzw. Belohnung" (98 n. 177: a questo proposito sarebbe stato opportuno un accenno ai numerosi lavori di Emanuele Stolfi; colpisce, inoltre, l'assenza di qualunque riferimento alla teoria del 'prédroit' di L. Gernet). Ma in Grecia non si può parlare di un diritto che promana dagli dèi: non siamo nell'antico Israele. Inoltre, anche gli ethea esiodei dettano regole di comportamento in situazioni specifiche; così pure le themistes omeriche (themis esti). E l'eunomia, a cui si riferisce Hom. Od. 17. 483-487, può essere interpretata non in relazione al rispetto di una specifica regola di condotta, ma come manifestazione di un comportamento abituale, non solo di un singolo individuo, ma di un gruppo sociale, come, appunto nell'Odissea, è il caso dei Ciclopi e dei Proci.
Scendendo all'età arcaica (cap. 3) una sezione significativa della trattazione di Rempe è il § 3.3.1: "Die nomoi und die frühe griechische Gesetzgebung" (90 ss.). Questo titolo farebbe pensare che Rempe intenda occuparsi della tradizione relativa ai grandi legislatori. Ma così non è: Caronda e Zaleuco non sono nemmeno menzionati, così come del II libro della Politica di Aristotele vengono citati solo accenni marginali a Licurgo e a Solone (per inciso, la recente monumentale raccolta delle leggi di Draconte e di Solone, a cura di W. Schmitz, pur essendo citata - 105 n. 208, 298 n. 332, non compare in bibliografia). Una simile scelta è probabilmente giustificata dal fatto che Rempe decide di aderire al punto di vista sostenuto soprattutto da Hölkeskamp, secondo cui le leggi arcaiche, di solito designate da termini diversi da nomos, come tethmos, rhetra, graphos, grammata, hados (98), intendono risolvere problemi specifici e non sono redazioni scritte di norme precedentemente trasmesse per via orale (95, 191 n. 385). Uno degli esempi addotti da Rempe è la legge di Draconte sull'omicidio involontario, che, in linea con molti autorevoli studiosi, interpreta come rimedio alla crisi determinata dalla congiura di Cilone (95-96), quindi come provvedimento contingente. Gli studiosi che criticano questa tesi, in base ad argomenti che io considero molto persuasivi, non sono presi in considerazione da Rempe, che si limita a un sommario rinvio bibliografico (96 n. 166). Questo è uno dei casi in cui l'analisi di Rempe, specie per quanto riguarda i testi epigrafici, appare alquanto unilaterale e pregiudizialmente orientata. Si vedano, ad esempio, il ruolo 'antiquato' arbitrariamente attribuito ai mnemones nella c.d. iscrizione di Ligdamis (276-277 e 292), o i ripetuti accenni alla legge coloniaria di Naupatto, a proposito della quale Rempe sostiene, senza alcun argomento cogente, che nomos compaia sia nel senso antico sia nel senso nuovo (197). Colpisce inoltre l'assenza di ogni riferimento (a parte l'iscrizione di Drero sul divieto di iterazione della carica di kosmos: 92 ss.) alla legislazione cretese, che pure, secondo la dottrina dominante, si colloca all'interno del periodo di tempo preso in considerazione da Rempe (mi riferisco in particolare al c.d. Codice di Gortina). Può darsi che il motivo sia da scorgere nel fatto che in questi testi il termine nomos è del tutto assente; eppure, mi pare difficile negare che si tratti di fonti che attestano il passaggio da un diritto orale a un diritto scritto indipendentemente da una 'crisi' dei nomoi tradizionali.
Secondo Rempe, nella fase finale del periodo considerato nomoi tradizionali e leggi scritte tendono ad avvicinarsi: un fattore che opera in questo senso è l'affermarsi di esigenze locali ("Ortsgebundenheit": 103). Ma anche questa affermazione si basa su un presupposto difficilmente dimostrabile: cioè, che in precedenza esistesse un'insieme di nomoi uniformemente applicabile in tutta la Grecia in quanto derivante dalle comuni divinità. Tuttavia, permane una tensione fra nomoi tradizionali e leggi scritte, di cui Rempe scorge le tracce soprattutto nei princìpi contrastanti messi in scena in alcune delle tragedie superstiti, come l'Orestea e le Supplici eschilee e l'Antigone. Ma anche questo slittamento non trova una giustificazione coerente nella logica del discorso di Rempe. Se le norme scritte dovevano risolvere conflitti che i nomoi tradizionali non erano in grado di sciogliere, come mai si crea un contrasto fra i due tipi di norme? In realtà occorre distinguere il piano del dibattito etico-filosofico dal piano delle regole istituzionali. Ma Rempe, relegando in secondo piano la dimensione giuridico-istituzionale, si preclude lo strumento necessario per indagare il senso e la rilevanza della legge nella riflessione teorica e nella prassi del mondo greco (in particolare per quanto riguarda il rapporto fra legge orale e legge scritta, su cui sarebbe stato utile considerare i lavori di Michele Faraguna). Per concludere, se il metodo seguito da Rempe nella sua indagine suscita parecchie perplessità, le analisi di molte delle fonti esaminate, soprattutto quelle letterarie, arricchiscono il quadro delle nostre conoscenze della mentalità greca nei primi secoli della sua fioritura.
Alberto Maffi