Michael Rathmann: Diodor und seine "Bibliotheke". Weltgeschichte aus der Provinz (= KLIO. Beiträge zur Alten Geschichte. Beihefte. Neue Folge; Bd. 27), Berlin: De Gruyter 2016, IX + 431 S., ISBN 978-3-11-047835-8, EUR 99,95
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L'immagine tradizionale dello storico Diodoro Siculo era quella di un passivo compilatore di fonti, riprodotte in modo meccanico. Dominava poi l'idea che per ogni sezione della Biblioteca egli avesse riprodotto una singola fonte (la cosiddetta "Einquellentheorie"); pochi - tra questi, già nel 1890, Neubert - avevano avanzato ricostruzioni più complesse, proponendo una "Mehrquellentheorie". Solo però a partire dalla seconda metà del secolo scorso nuovi studi hanno cercato di indagare a fondo la personalità di Diodoro e il suo apporto personale; nonostante le ricerche di Pavan, Sacks, Ambaglio ed altri mancava tuttavia una monografia davvero complessiva, ed è merito di Rathmann averla finalmente fornita.
Dopo una introduzione (1-11) che contiene un ben informato Forschungsbericht, Rathmann analizza, nel secondo capitolo, tutto quel che si può dire della biografia di Diodoro (Die Vita des Autors, 12-117). Le tradizioni biografiche sono scarse: Rathmann passa in rassegna Eusebio, Suida e Fozio; ma in Suida l'interpretazione di epano come "danach" (15) è un errore, forse ripreso da Sacks: l'avverbio vuol dire, al contrario, "prima", il che elimina un problema. Bisogna quindi affidarsi alle testimonianze interne al testo, da cui Rathmann trae il massimo profitto: nato verso il 90, Diodoro fu a lungo in Egitto, e qui si sarebbe reso conto che una storiografia universale fondata sull'autopsia e il controllo di ogni dato era impresa impossibile; sarebbe quindi stato a Roma (ma, giustamente, l'importanza di questo soggiorno è fortemente ridimensionata rispetto a Sacks), visitando anche alcune località sulla strada; forse fuggì dalla Sicilia ai tempi delle guerre di Sesto Pompeo, per tornarvi prima del 36 e morirvi dopo il 30. Soprattutto, emerge l'immagine di un homo privatus, sprovvisto di grande educazione retorica, che ebbe Siracusa come Lebensmittelpunkt e forse appartenne a una famiglia di possidenti terrieri colpiti dalle guerre.
Il terzo capitolo verte sul titolo dell'opera (Der Titel Bibliotheke - Bedeutung und Intention, 118-155). Vi è una buona premessa metodologica sui titoli dei libri antichi, e l'idea che il titolo Bibliotheke sia d'autore è ben argomentata. Ne consegue che Diodoro ha in mente un pubblico di lettori, probabilmente di medi proprietari non troppo ricchi come lui, che gradirà poter leggere le riduzioni invece degli originali; è l'inizio di un processo che porterà alla perdita degli originali, sostituiti dai compendi. Notevole anche la parte finale, ove si dimostra - contro Schwartz - che l'opera ebbe un qualche successo.
Con il quarto capitolo si affronta il problema classico degli studi diodorei, quello delle fonti (Der Autor und seine Quellen, 156-270). Rathmann osserva che nel panorama degli studi la "Einquellentheorie" è in fondo superata e circolano idee varie, nessuna delle quali sembra davvero imporsi; si propone quindi di cercare non tanto le fonti specifiche, ma i criteri con cui Diodoro le avrà usate e rielaborate. Con metodo prudente, mostra che egli ha comunque molto selezionato, tra varie possibili fonti, e quindi fortemente epitomato le fonti scelte, mirando alla brevitas. Attraverso alcuni esempi, emerge la possibilità che Diodoro abbia in genere cercato più fonti per ogni sezione, ma fatto anche ricorso a Zwischenquellen, storie universali preesistenti, che gli consentivano di orientarsi. Mette quindi in luce - e potrà sembrare ovvio, ma non era finora ben emerso - un interesse per il mondo siculo, e le tracce (soprattutto in 5.6.5) di una visione positiva della fusione dei popoli di Sicilia sotto l'influsso greco. Le citazioni di autori, spesso "pseudodiscussioni", fanno per converso emergere l'assenza di criteri oggettivi di selezione: sono più omaggi alle regole del genere che vera critica. Oltre Eforo e Timeo, importante per Diodoro sarà stato Agatarchide (forse anche per i libri 18-20, come Zwischenquelle rispetto a Ieronimo di Cardia), quindi Apollodoro, e per il periodo dopo il 168 Posidonio, Alessandro Poliistore, Teofane di Mitilene. Interessante, inoltre, l'idea che le riflessioni di Diodoro sulla storiografia kata genos implichino un fraintendimento di Eforo, dovuto alla mediazione di Polibio, e che i suoi limiti culturali gli abbiano impedito di comprendere che il criterio della narrazione unitaria di lunghe vicende poteva solo essere in contrasto con l'impostazione annalistica; di qui potrebbero dipendere alcuni errori nei sincronismi.
Il quinto capitolo (Die Intention des Werkes, 271-306) è particolarmente originale. Diodoro, mosso da una visione morale della storiografia, vagheggia l'idea di un mondo pacificato da benefattori quale Eracle (e Dionisio e Demetra: triade che riconduce alla sua Sicilia). Alessandro e Cesare solo in parte riproducono il modello mitico; e alla fine si può intravedere, nell'opera, la critica al governo romano delle province, caratterizzato dallo sfruttamento e dal sistema schiavistico.
Il volume è chiuso da una Abschließende Würdigung von Autor und Werk (307-315), che tratteggia la caratteristica di un cattivo storico e modesto letterato, ma non mero compilatore; e da utili tabelle.
Soprattutto nel secondo e terzo capitolo, il libro di Rathmann per certi versi riflette il suo oggetto, avanzando interpretazioni non troppo sofisticate che cercano di attenersi a quel che Diodoro dice. Questo approccio diretto al testo è da apprezzare, in quanto mette da parte secolari incrostazioni esegetiche e si sforza di riconsiderare ex novo tutti i dati utilizzabili sulla biografia e l'opera di Diodoro, così mostrando l'incertezza e inaffidabilità di alcune generalizzazioni (soprattutto quelle di Sacks) e combattendo ipotesi ipercritiche, in nome di un equilibrato buon senso. Il buon senso può però portare talora a ingenuità: la pretesa di ricostruire sulla base dei riferimenti e addirittura dei silenzi nel testo le vicende esistenziali e addirittura le motivazioni individuali di Diodoro (ad esempio la sua difficoltà ad affrontare le spese, o la stanchezza per una ricerca di prima mano), di farne uno "Psychogramm" (58 e 63), è a tratti semplicistica. Alcune deduzioni appaiono insomma troppo elementari per essere vere, ma sono ottimo contravveleno a soluzioni alternative che, troppo ingegnose o frutto di generalizzazioni prive di riscontri nel testo, sono sicuramente false.
Equilibrato il capitolo 4, dove è giusto il principio di indagare, più che le fonti, i criteri di rielaborazione: quanto più essi risultano uniformi tanto più si coglie l'apporto personale di Diodoro; e se infine Rathmann accetta di partecipare all'antico gioco di nominare gli auctores non gliene faremo una colpa, anche se talora gli indizi sono deboli (davvero la menzione di Asia ed Europa, senza Libia, rinvierà ad Agatarchide, come si legge a 235?). Originale il capitolo 5 sulle intenzioni di Diodoro, dove Rathmann è consapevole delle difficoltà metodologiche implicite (la petitio principii, il rischio di confondere tendenza di Diodoro e tendenza delle fonti), ma è attento a distinguere certezze, probabilità e possibilità. Alla fine, il ritratto di un Diodoro "uomo medio" che guarda a una realtà universale in una prospettiva provinciale appare coerente con la ricostruzione della sua biografia, ed è affascinante.
Aldo Corcella