Kyle Erickson (ed.): The Seleukid Empire, 281-222 BC. War within the Family, Swansea: The Classical Press of Wales 2018, VIII + 323 S., zahlr. s/w-Abb., ISBN 978-1-910589-71-7, GBP 65,00
Inhaltsverzeichnis dieses Buches
Buch im KVK suchen
Bitte geben Sie beim Zitieren dieser Rezension die exakte URL und das Datum Ihres Besuchs dieser Online-Adresse an.
Vivienne J. Gray: Xenophon's Mirror of Princes. Reading the Reflections, Oxford: Oxford University Press 2010
Linda-Marie Günther / Sonja Plischke (Hgg.): Studien zum vorhellenistischen und hellenistischen Herrscherkult, Berlin: Verlag Antike 2011
Boris Chrubasik: Kings and Usurpers in the Seleukid Empire. The Men who would be King, Oxford: Oxford University Press 2016
I promotori e i partecipanti al Seleucid Study Group ormai da tempo si sono assunti il gravoso e delicato compito di scardinare molti dei dogmi nella storia degli studi su quella monarchia ellenistica. Intento meritorio, dato che sui Seleucidi per lungo e forse troppo tempo hanno pesato come macigni le interpretazioni dei giganti della disciplina della prima metà del Novecento.
A tale intento 'eversivo' non sfuggono i contributi raccolti in questo volume, presentati originariamente nell'ambito del panel della Celtic Conference in Classics (Bordeaux, 2012). Come scrive K. Erickson nell'introduzione, l'intento di offrire deliberatamente nuove ipotesi interpretative è facilitato da una storia dei Seleucidi nel III secolo a.C. spesso frammentaria e contraddittoria per la nota lacuna nelle fonti. Il volume trova dunque la sua unità sotto l'aspetto cronologico e nella divisione tematica degli articoli, ripartiti in quattro sezioni (insediamento e consolidamento dei Seleucidi in Asia Minore; passaggio del potere attraverso le varie generazioni; interazione dei Seleucidi con nuovi potentati emergenti: Parti, fratarakā, Greco-Battriani; terza guerra siriaca e guerra tra fratelli).
Venendo nel dettaglio, S. Mitchell ('Dispelling Seleukid phantoms: Macedonians in Western Asia Minor from Alexander to the Attalids') analizza gli insediamenti macedoni in Lidia e Frigia, negando che questi possano essere attribuiti ai Seleucidi (un'origine attalide è individuata invece in tutti i casi studiati).
I contributi di A. McAuley e di M. D'Agostini (rispettivamente, 'The house of Achaios: reconstructing an early client dynasty of Seleukid Anatolia' e 'Asia Minor and the many shades of a civil war. Observations on Achaios the younger and his claim to the kingdom of Anatolia') si integrano a vicenda per molti aspetti. Le figure di Acheo il Vecchio e del suo discendente Acheo il Giovane vengono inquadrate, anche con nuove proposte cronologiche [1], nel radicamento in Anatolia, nelle dinamiche e nei rapporti con i Seleucidi nel corso del III secolo a.C. (con accento posto sulla grande autonomia conseguita in Asia Minore).
N.L. Wright interviene su un tema molto dibattuto negli ultimi anni: il Ruler Cult per i Seleucidi, e segnatamente il culto di Seleuco I a Seleucia di Pieria voluto dal figlio, Antioco I ('Seleukos, Zeus and the dynastic cult at Seleukeia in Pieria'). Riprendendo suggestioni di Hannestad e Potts riguardo all'identificazione del Nikatoreion di Seleuco con un tempio in stile dorico sul monte Koryphos [2] scorge importanti connessioni con l'heroon di Kineas ad Ai Khanum, in una sorta di interscambio architettonico e cultuale tra Est e Ovest. Manca però un confronto con quanto fatto, pressoché contemporaneamente, da Tolemeo II nei confronti di Tolemeo I, e il culto di quest'ultimo a Tolemaide, che forse avrebbe arricchito il ventaglio di ipotesi contenute nell'articolo. [3]
Nel contributo di J.R. Holton ('The ideology of Seleukid joint kingship: the case of Seleukos, son of Antiochos I') viene discussa la coreggenza dei figli di Antioco I, Seleuco e il futuro Antioco II attestata, sia pure in modo che può sembrare confuso e cronologicamente contraddittorio, nelle fonti epigrafiche e in cuneiforme. Contrariamente alla testimonianza delle fonti letterarie (Prol. XXVI di Pompeo Trogo, Giovanni Antiocheno) il primo non sarebbe stato ucciso per una ribellione, ma sarebbe morto di malattia (sulla scorta di un'ipotesi di Del Monte). [4] Una soluzione che potrebbe essere corroborata da Lib., Or., XI, 108 [5] e, per alcuni, da OGIS 246 (ma l'identificazione alla l. 4 con questo Seleuco è dubbia).
Dal canto suo, R. Strootman affronta il problema della secessione dei Parti dal regno seleucide ('The coming of the Parthians: crisis and resilience in the reign of Seleukos II'), arrivando alla conclusione, solo apparentemente paradossale seguendo il filo del suo ragionamento, che questa andrebbe datata non al III secolo bensì al II secolo a.C. Quella che le fonti (in particolare Giustino) presentano come tale in realtà sarebbe una ricostruzione a posteriori, che non tiene conto della 'fluidità' della dominazione seleucide, con la presenza di stati vassalli, tra cui appunto i Parti. In base a tale interpretazione vi è da chiedersi conseguentemente quali siano i percorsi politico-propagandistici che portarono all'elaborazione storiografico-letteraria del re-fondatore, nel confronto con le regalità greco-macedoni, anche con la presenza di tradizioni alternative (come il ruolo di Tiridate, presunto fratello di Arsace I). In realtà, un'analisi combinata della titolatura (autokrator, lo stesso krn) e delle fonti letterarie riguardo all'intronizzazione (Isidoro di Carace, Giustino) induce a ritenere che Arsace I si considerasse un vero e proprio re, ma secondo una concezione della monarchia che certo lo avvicina più alla tradizione orientale che a quella greco-macedone (e seleucide in particolare). [6]
Anche R. Wenghofer nel quadro della riconsiderazione della dinastia dei Diodotidi, allargata anche al misterioso Antioco Nikator, terzo e ultimo esponente della dinastia prima della usurpazione di Eutidemo, insiste su una concezione di politica estera dei Seleucidi piuttosto elastica ('Rethinking the relationship between Hellenistic Baktria and the Seleukid empire'). Arriva pertanto ad affermare che l'assunzione del diadema e del titolo da parte di Diodoto I implica una regalità subordinata a quella centrale (mentre è propenso ad ammettere una defectio per i Parti).
D. Engels ('Iranian identity and Seleukid allegiance: Vahbarz, the frataraka and early Arsakid coinage') ritorna sul problema del rapporto tra Seleucidi e fratarakā, da lui già affrontato in recenti pubblicazioni, fornendo nuovi argomenti a favore di una cronologia alta della loro rivolta, contro i fautori di una datazione bassa (J. Wiesehöfer). [7] Nel delineare il quadro storico e le dinamiche del potere, le sue argomentazioni, inevitabilmente, sono talora coincidenti con quelle di Strootman: anche quello di Vahbarz, come nel caso dei primi Arsacidi, non sarebbe stato un vero e proprio regno o potentato autonomo.
Con l'articolo di A. Coşkun la cronologia tradizionale viene messa a dura prova ['The war of brothers, the third Syrian war, and the battle of Ankyra (246-241 BC): a re-appraisal']. Nel suo saggio lo studioso offre infatti una rilettura completamente nuova della terza guerra siriaca e dello scontro tra i fratelli Seleuco II e Antioco Ierace, sostenendone la pressoché contemporaneità. Ciò avrebbe evidenti implicazioni anche per l'anabasi di Tolemeo III: contrariamente a quanto affermato nel Monumentum Adulitanum, il ritorno precipitoso del Lagide in Egitto sarebbe dovuto non tanto a un'insurrezione locale, quanto ad un attacco di Seleuco II, supportato dalle truppe fornitegli da Arsace I e Diodoto I (dinasti considerati a lui subordinati). Il lavoro è corredato da un'appendice con una dettagliata cronologia degli eventi tra il 253 e il 226.
K. Erickson, poi, indaga con acribìa sulle monete recanti la leggenda ΑΝΤΙΟΧΟΥ ΣΩTΗΡΟΣ, da sempre al centro dell'attenzione degli studiosi ('Antiochos Soter and the third Syrian War'). Passando in rassegna le varie soluzioni proposte, e riprendendo le ipotesi di Coşkun, ritiene possibile una coniazione sotto Antioco Ierace, propendendo però in ultima analisi per una datazione ad Antiochia sotto il regno di Antioco II.
Chiude il volume la bibliografia complessiva e un indice, dove sono compresi, oltre alle località, i nomi propri antichi e gli studiosi moderni.
In conclusione, quasi tutti i dieci articoli mantengono quello che promettono in questo denso volume. Nello 'scardinamento' di opinioni consolidate, anche se con interpretazioni non univoche, si riscontrano alcuni motivi comuni, a partire da una diversa concezione della regalità e della gestione del potere nel mondo seleucide, con un ripensamento, non sempre convincente, dei rapporti di subordinazione rispetto all'autorità centrale (Parti, fratarakā, Greco-Battriani).
È costante l'uso di termini e sintagmi che appartengono a rigore ad altri ambiti storici (ad es., semi-feudal structure, vassal states/kings, lo stesso empire con l'annesso disinvolto concetto di imperialism), solo apparentemente comparabili con l'età ellenistica. Sarebbe stato raccomandabile uno sforzo linguistico ulteriore, con l'applicazione di categorie interpretative create ad hoc e non mutuate da altri contesti in modo fuorviante. A questo proposito, più che con il mondo medioevale, proficuo è il confronto con il mondo achemenide e l'Oriente sotto Alessandro, ma anche con quanto avvenne qualche secolo dopo (in particolare nel regno bosporano). In quella realtà, infatti, vi fu quella che è stata definita da F. Millar una politica di due livelli di sovranità da parte dei dinasti, nei confronti di Roma e riguardo ai sudditi. [8]
A ciò si aggiunga la pressoché assoluta, e prevenuta sfiducia nei confronti del racconto di Pompeo Trogo e del suo epitomatore Giustino, ma spesso anche di altre fonti (ad es., Porfirio/Eusebio) che si riscontra costantemente nel volume. Se da un lato giustamente la tradizione letteraria deve essere soppesata (e auspicabilmente accompagnata da un adeguato approfondimento storiografico) [9], talora però si assiste ad alcune forzature interpretative motivate proprio dal desiderio di offrire uno scenario diverso rispetto a quello consolidato nella scholarship. Molte delle suggestioni risultano così stimolanti se non addirittura avvincenti, ma, quanto meno, necessitano di maggiori conferme nella documentazione per diventare a loro volta dogmi consolidati nella storia degli studi.
Ciò detto, la lettura del volume obbliga in ogni caso a riflettere maggiormente sul III secolo a.C. e sulle sue dinamiche geopolitiche, anche in prospettiva più ampia rispetto all'orizzonte seleucide, in quello che viene talora definito network ellenistico, dal Mediterraneo all'Afghanistan. Costituisce pertanto già fin d'ora un lavoro di riferimento ineludibile per un'analisi innovativa di quel periodo.
Note:
[1] Riguardo al primo McAuley propone due cronologie, alta e bassa, collegando il personaggio ora a Seleuco I ora al figlio, Antioco I.
[2] Ma vd. la prudenza espressa da W. Held: Die Residenzstädte der Seleukiden. Babylon, Seleukeia am Tigris, Ai Khanum, Seleukeia in Pieria, Antiocheia am Orontes, JdI 117 (2002), 217-249, partic. 241.
[3] A margine, va osservato che Zeus Seleukeios, attestato tra Lidia, Delfi e Alessandria, difficilmente sarà una forma di culto per il sovrano (come ritiene invece Wright). Cfr. R. Parker: Greek Gods Abroad. Names, Natures, and Transformations, Oakland, CA 2017, 202, nonché R. Fabiani: I.Iasos 52 e il culto di Zeus Idrièus, SCO 61.2 (2015), 163-202.
[4] G.F. Del Monte: Antioco I Soter e i figli Seleuco e Antioco. Un nuovo testo da Babilonia, SCO 45 (1995), 437-447.
[5] Cfr. anche Ioann. Mal., p. 155 Thurn, dove si dice che il principe μικρὸς ἐτελεύτηςε (aggettivo non ben chiaro: potrebbe essere inteso non nel senso che morì molto giovane, bensì prematuramente).
[6] Cfr. M.J. Olbrycht: The Titulature of Arsaces I, King of Parthia, Parthica 15 (2013), 63-74, partic. p. 69.
[7] I riferimenti ai lavori di questo studioso si fermano al 2011. Vd. Anche J. Wiesehöfer: Frataraka and Seleucids, in The Oxford Handbook of Ancient Iran, Oxford 2013, 718-727; Id.: Antiochos III. und die Persis, in C. Feyel / L. Graslin-Thomé (éd.), Antiochos III et l'Orient, Nancy 2017, 245-254.
[8] F. Millar: Emperors, Kings and Subjects: The Politics of Two-Level Sovereignty, SCI 15 (1996), 159-173 (= Id.: Rome, the Greek World, and the East, II, Government, Society, and Culture in the Roman Empire, Chapel Hill / London 2004, 229-245).
[9] La bibliografia sulle Storie filippiche e sulla sua Epitome è particolarmente fiorente negli ultimi anni, ma non è menzionata sistematicamente nei contributi.
Federicomaria Muccioli