Rezension über:

Jonas Scherr / Martin Gronau / Stefano Saracino (Hgg.): Polybios von Megalopolis. Staatsdenken zwischen griechischer Poliswelt und römischer Res Publica (= Staatsverständnisse; Bd. 159), Baden-Baden: NOMOS 2022, 319 S., 7 Abb., ISBN 978-3-8487-5101-3, EUR 64,00
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Rezension von:
Giuseppe Zecchini
Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano
Redaktionelle Betreuung:
Matthias Haake
Empfohlene Zitierweise:
Giuseppe Zecchini: Rezension von: Jonas Scherr / Martin Gronau / Stefano Saracino (Hgg.): Polybios von Megalopolis. Staatsdenken zwischen griechischer Poliswelt und römischer Res Publica, Baden-Baden: NOMOS 2022, in: sehepunkte 22 (2022), Nr. 11 [15.11.2022], URL: https://www.sehepunkte.de
/2022/11/37195.html


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Jonas Scherr / Martin Gronau / Stefano Saracino (Hgg.): Polybios von Megalopolis

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Il volume raccoglie 11 contributi su Polibio di varia estensione e impostazione. Come precisano i curatori nella Einführung in den Sammelband (11-22), il loro scopo è quello di indagare il Polibio politologo sia nei suoi rapporti con la scienza politica classica da Platone alle filosofie ellenistiche, sia nella sua influenza sulla scienza politica moderna e contemporanea. E' però vero che a tale premessa si attengono soprattutto i due contributi di M. Gronau, sulla teoria ciclica delle costituzioni e sulla costituzione mista (23-74) e sulla ricezione della teoria statuale di Polibio tra XIX e XXI secolo (299-319); nonostante un linguaggio particolarmente arduo, che si compiace di astrazioni spesso non necessarie, l'esito della sua riflessione è abbastanza scontato: Polibio è uno storico prima che uno scienziato della politica e dunque teorie come quelle del VI libro sulla anakýklosis e sulla miktè politeίa (ma anche sulle leggi della biologia applicate agli organismi politici) vengono talvolta richiamate anche in altri passi delle Storie per spiegare taluni fenomeni, ma non in modo sistematico, perché gli eventi storici sono essenzialmente il prodotto della volontà dell'uomo e del caso (la týche). Osservo che proprio per questo è però sbagliato partire dal VI libro (su cui la discussione rischia di diventare 'francamente noiosa', come già si espresse E. Gabba) per comprendere uno storico come Polibio: il VI libro è quello che vuole essere, una digressione che ci informa sui principali sistemi politici, sulle loro interrelazioni, sulle eventuali leggi che li governano secondo la precedente teoresi (segnatamente di Aristotele e dei suoi allievi del primo Peripato), ma che non impegna più che tanto lo storico nelle sue analisi dei singoli eventi, le cui cause sono la natura umana (l'anthrópinon tucidideo) e il caso indipendente dall'uomo. Siccome Polibio è uno storico, si spiega come nella scienza politica contemporanea abbia poco spazio: teorie come quelle sull'anakýklosis e sulla miktè politeίa sembrano superate e superficiali ed egli è privo di quella coerenza teorica, che peraltro non cercava affatto; i pochi tentativi di ricupero sono infelici: quando A. Negri scrive nel suo Insurgencies (1999, 108) che Polibio inserisce l'evoluzione costituzionale nell'obiettività storica e nel suo Empire (2000, 314) che Polibio identifica la forma buona della monarchia con la figura dell'imperatore, attribuisce al Megalopolitano pensieri che gli erano del tutto estranei.

B. Dreyer (75-113) si limita a riassumere le vicende biografiche di Polibio e il loro influsso sulle caratteristiche della sua ricerca storica sulla base della sua monografia del 2011. L. I. Hau (115-133) ribadisce la sostanziale estraneità di Polibio alla mentalità romana, per cui la sua visione dell'Urbe resta condizionata da una prospettiva tenacemente greca e può indurre a non pochi fraintendimenti, per esempo nell'ambito della religione.

F. K. Maier (135-158) ribadisce quanto sostenuto nella sua importante monografia del 2012 sulla contingenza dei processi storici in Polibio: le suddette parti teoriche del VI libro hanno valore solo relativo secondo la categoria dell'eikόs, mentre su un piano più generale la storia rimane sempre aperta alla possibilità dell'Ereignis, dell'avvenimento imprevedibile. Il contributo di Maier è il più teoretico insieme con quelli di Gronau e li completa abbastanza bene nella medesima direzione, che Polibio non va giudicato per le sue esternazioni teoriche, ma per le sue analisi dei singoli eventi all'interno della sua narrazione.

Fr. Daubner (159-180) discute la concezione dello spazio in Polibio in funzione delle esigenze degli stati territoriali ellenistici, leghe o monarchie; è un approccio abbastanza originale, ma inficiato verso la fine dalla volontà di sostenere l'antiromanesimo di Polibio stesso: questa è una tendenza oggi relativamente diffusa, che valorizza soprattutto in questa chiave il cosiddetto II proemio del III libro; va ribadito che la capacità dei Romani di costruire un'egemonia mondiale è per Polibio un valore, come egli dice chiaramente nel I proemio del I libro, che è il più importante e che egli non ha mai ritenuto di dover modificare; inoltre l'ipotesi di Daubner che Polibio voglia presentare i Romani agli occhi dei Greci come gottlose Barbaren (175) per suscitarne un'immagine negativa prescinde dal fatto che Polibio stesso era gottlos e disprezzava la religione.

J. Scherr (181-227) ricerca le fonti filosofiche dell'esigenza polibiana che un impero va gestito con mitezza e moderazione e sostiene che rispetto alla posizione 'antimperialista' di Carneade è in Diogene di Seleucia (prima ancora che in Panezio) che si può ravvisare un'apertura alla valutazione positiva degli imperi e delle egemonie a condizione appunto che siano amministrati secondo determinati criteri; ora che Polibio avesse generiche conoscenze di filosofia e che si sia incontrato a Roma con i tre ambasciatori del 155 a.C. è vero, ma esiterei a collegare il nostro storico con una particolare dottrina filosofica: non solo non mi convince l'accento posto su Diogene, del cui pensiero sappiamo troppo poco e sul quale la ricostruzione di Scherr mi sembra troppo indiziaria, ma ricordo che già nel 167 a.C. Catone nella Pro Rhodiensibus (mai menzionata in questo contributo) aveva avanzato la medesima esigenza di Polibio; è allora possibile che la posizione di Polibio sia stata influenzata dai politici romani, con cui era a contatto, piuttosto che da filosofi greci di passaggio nell'Urbe.

Ph. Scheibelreiter (229-245) discute un passo polibiano (13,3,4) sulla guerra lelantea riguardo all'elaborazione di uno ius in bello già in ambito greco. St. Saracino (247-274) studia l'influsso di Polibio sul pensiero politico all'interno della repubblica fiorentina tra XV e XVI secolo (Bruni, Machiavelli, seguaci del Savonarola, Niccolò Guicciardini, Donato Giannotti, Bartolomeo Cavalcanti). Infine ancora J. Scherr (277-297) si occupa della fortuna di Polibio dall'antichità all'età moderna, di fatto sino al dibattito che animò i nascenti Stati Uniti alla fine del XVIII secolo; le pagine sulla ricezione antica di Polibio seguono in gran parte quanto da me scritto in Polibio. La solitudine dello storico (Roma 2018, 205-218).

Il volume nel suo complesso contiene contributi di buon livello scientifico e lo scopo principale di porre Polibio in relazione con le teorie filosofiche antiche e le teorie politologiche attuali è in parte raggiunto; non molto però è originale e il progresso degli studi polibiani ne trae un guadagno abbastanza limitato.

Giuseppe Zecchini